Scialpinismo in California: dai vulcani del nord alla Sierra Nevada

Siamo in autunno e si stanno programmando le attività per il 2019, il quarantesimo anno di attività della Scuola di Sci Alpinismo “Città di Trieste”, nata nel lontano 1979. Come da tradizione, si vuole celebrare questo importante anniversario con un viaggio sci alpinistico che metta in luce l’attività della Scuola. Ma dove andare? Il mondo è pieno di montagne e posti attrattivi per lo sci alpinismo.

Nasce l’idea della California, anche se sinceramente, da non alpinisti, la prima cosa a cui si pensa sono il mare, il sole e le spiagge, che portano il pensiero più ad una tavola da surf che non a due “tavole” da sci. Invece la California offre una moltitudine di paesaggi ed in particolare una montagna meravigliosa. Dai vulcani appartenenti alla “Cintura di fuoco del Pacifico”, alla Sierra Nevada, una catena lunga 650 km che si estende lungo il confine con il Nevada, caratterizzata da montagne di origine granitica e metamorfica che raggiungono e superano i 4000 metri di quota e dove le perturbazioni oceaniche si scontrano scaricando ingenti quantitativi di neve.

Bene! la scelta è fatta ed il viaggio si prospetta curioso e stimolante. In California saremo in sette istruttori della “Scuola”: Giuliana Pagliari, Marco Pavan, Fabrizio Furlan, Maurizio Martinelli, Dario Skerl, Roberto Valenti e Enrico Viatori. All’ultima ora, si aggiunge l’amico trentino Mauro Fronza, Guida Alpina dall’invidiabile trascorso alpinistico. Procediamo con la prenotazione dei voli e il noleggio del camper, un mezzo che ci permetterà grande flessibilità di spostamento. Ordiniamo nel web mappe e guide con cui pianificare le nostre “gite” a seconda dell’innevamento, dell’esposizione e del meteo.

I mesi passano veloci con i vari impegni dei corsi SA1 e SA2 e ci ritroviamo in aprile a mettere a punto gli ultimi dettagli. Arriva la data della partenza. Saliamo sull’aereo che ci porterà a San Francisco carichi di emozione ma già guardando con attenzione alle carte meteo per decidere la prima meta tra quelle prescelte. Dopo una notte in albergo recuperiamo i camper che saranno la nostra dimora per i prossimi 12 giorni e ci dirigiamo a nord, poiché abbiamo strategicamente deciso, viste le ottime previsioni meteo, di tentare subito il nostro principale obiettivo, il Mount Shasta, un vulcano di 4317 metri che si erge solitario nell’omonima foresta nazionale.

Per salire questo vulcano dovremmo superare 2300 metri di dislivello con un campo a circa metà percorso. Ovviamente in tenda, negli USA non ci sono rifugi o bivacchi come sulle Alpi. L’impegno richiesto e notevole, ma non abbiamo dubbi che ne varrà la pena; su molte pubblicazioni la discesa è valutata tra le più belle del mondo. Man mano che avviciniamo la montagna, viaggiando sulla Interstate Highway n°5, aumentano le nostre preoccupazioni, la stanchezza di un viaggio intercontinentale, il jet lag di nove fusi orari ed un viaggio in camper di quasi 500 km per salire un 4000 con “zero acclimatamento” non è proprio la scelta più ragionevole.

Arriviamo così al “Bunny Flat” dove la strada si ferma in un piazzale contornato da un bosco di Abies magnifica e alti muri di neve. Da qui inizierà la nostra salita. Siamo ad oltre 2000 metri e al posto della stazione dei Ranger dove pagare il permesso per l’ascensione, troviamo una piccola costruzione dove, in assoluta autonomia ed “in fiducia”, si deve inserire il denaro in una busta, indicando i nominativi dei salitori, imbucandola poi in un’apposita feritoia. Ci muoviamo la mattina seguente, il caldo si fa ben presto sentire ed il peso degli zaini… pure! Saliamo i pendii, morbidi all’inizio e poi più impegnativi e, tra una foto ed una ripresa video arriviamo ad una conca sul ghiacciaio ad oltre 3100 metri, chiamata “Helen Lake”, dove trascorreremo la notte in tenda. Un cielo stellato da far paura e temperatura attorno ai -10°C.

Al mattino, ancora assonati, centellinando l’ultimo gas, riusciamo a sciogliere un po’ di neve e berci qualcosa di caldo. La notte non è stata un gran che e siamo ancora “fuori fuso”. Il pendio, estremamente duro, si fa sempre più ripido e ben presto preferiamo togliere gli sci e calzare i ramponi. Saliamo diretti su pendenze attorno ai 35°. La quota inizia a farsi sentire. Procediamo lenti, ma alla fine raggiungiamo l’ampio cratere della cima. L’aria è impregnata dell’odore di zolfo emesso da alcune bocche del vulcano e tutte le pareti sono incrostate da caratteristiche formazioni di ghiaccio. Attraverso un canalino ghiacciato arriviamo in vetta. Panorama a 360°, foto di rito e firma sul libro vetta. Un bell’inizio della nostra avventura californiana. La discesa, che dire: uno spettacolo! Dopo qualche centinaio di metri ghiacciati e dal manto nevoso lavorato dal vento, sotto i 4000 iniziano pendii stupendi, la neve è perfettamente trasformata ed il terreno, seppur ripido, si lascia sciare con facilità: un vero godimento.

Arriviamo alle tende e dopo aver raccolto le nostre cianfrusaglie, continuiamo carichi la discesa su pendii stupendi che ci accompagnano sino al bosco di abeti. Mancano solo poche centinaia di metri, quando un primo gruppetto va avanti e prende una traccia sbagliata: ahi, ahi, ahi… due istruttori nazionali ed una guida alpina, inebriati dalla splendida sciata nel bosco si ritrovano “fuori rotta” almeno un centinaio di metri sotto al parcheggio, nella Wilderness della foresta californiana. Niente paura, ma con la coda fra le gambe, rimettono rassegnati le pelli e fiutando la birra fresca tanto attesa, scontano la penitenza risalendo sino al camper!

Ci dirigiamo verso la prossima meta, il Lassen Peak, un altro vulcano di “soli” 3250 metri, immerso nella Lassen Peak National Forest. Arrivati da sud all’ingresso del parco, rimaniamo sconcertati dall’enorme quantità di neve, c’è ne sono oltre cinque metri sopra la stazione dei ranger. Ovviamente la strada è chiusa e dovremmo fare 20 km a piedi per raggiungere la cima, forse non è il caso. Con circa 100 miglia di strada e tre ore di camper, raggiungiamo il versante nord. Alla fine la scelta è quella giusta. Dormiamo in una foresta da favola e la potenziale presenza di orsi ci regala delle emozioni inaspettate, in questo giro non saremo mai tranquilli neanche all’interno dei nostri camper. All’indomani la giornata è stupenda e partiamo di buon’ora per una salita di 1250 metri di dislivello. Gli ultimi 500 metri di salita sono piuttosto ripidi e costringono a salire con ramponi e sci in spalla, ma già pregustiamo la discesa. Dalla cima il panorama è davvero stupendo e spazia fino al lontano Mount Shasta. Ci prepariamo alla discesa, usciti dal cratere sommitale, i pendii sono subito ripidi superando i 40°, ma la neve è perfettamente lavorata dal sole e non c’è alcuna preoccupazione. Cerchiamo di fare foto e riprese, e qualcuno si perderà buona parte della bellissima discesa, scendendo in derapata per filmare con la GoPro gli amici. Dopo questa giornata, sentiamo che il nostro viaggio ha già un suo compiuto, due cime bellissime che danno senso a questa avventura.

Ci attende un lungo trasferimento verso la High Sierra, attraversando gli spazi immensi dell’ovest americano: foreste, pianure, grandi laghi e ancora montagne, con la sensazione che la presenza umana sia davvero cosa rara.

Puntiamo ai dintorni del lago Tahoe, un lago a oltre 1800 metri di quota, contornato da montagne. Come da programma andiamo verso il Piramid Peak ma, ahimè, la neve inizia molto in alto e ci costringerebbe ad un lungo tratto con gli sci in spalla. Siamo un po’ demoralizzati ma rapidamente decidiamo di muovere più a sud verso la Eastern Sierra. Dopo parecchie ore di guida, all’alba raggiungiamo la zona del Mammoth Lake dove decidiamo di salire l’Esha Peak, 3750 metri con quasi 1400 metri di dislivello. Tecnicamente impegnativa, questa salita segue una lunga valle per raggiungere una conca da cui si sale, ramponi ai piedi e sci in spalla, per circa 400 metri su un pendio ripido fino a raggiungere l’aerea cresta rocciosa, che si segue fino alla cima. Anche qui lo spettacolo che si apre è veramente maestoso, ci si rende conto della vastità della zona e di quante montagne sarebbero raggiungibili solo dopo giorni interi di cammino in una natura incontaminata. Scendiamo, a piedi fino a dove abbiamo depositato gli sci ed iniziamo la discesa lungo un ripido canale. Siamo sicuramente a 45°, poi la pendenza cala sui 40° e diventa relativamente più facile, ma vista la presenza di rocce sul pendio, manteniamo la massima attenzione. Finalmente i pendii diventano più larghi e più divertenti, la neve è fantastica e ci regala forti emozioni.

Il giorno seguente, dal Convict Lake, decidiamo di salire l’Old Man Bowl, una cima secondaria di 3320 metri. Fa caldo e fatichiamo a salire specialmente gli ultimi 100 metri, che si impennano fino alla piccola vetta. Ad est ci sovrasta il ben più impegnativo Mount Morrison. L’attrazione è forte, ma valutiamo che per salirlo in sicurezza, non abbiamo con noi attrezzature adeguate.

Il meteo sta cambiando e ci rimane ancora un’unica giornata da dedicare all’alpinismo. Ci muoviamo ancora più a sud, nella zona di Bishop e della Inyo National Forest, dove saliamo con il camper fino al South Lake, a 3000 metri di quota, pernottando in un posteggio contornato da alti muri di neve. La mattina seguente con un meteo improntato alla variabilità perturbata, iniziamo la salita al Mount Gilbert, che sfiora i 4000 metri. Percorriamo le sponde di un lago artificiale coperto da uno spesso strato di ghiaccio che, la diminuzione del livello dell’acqua, ha trasformato in grossi blocchi separati da profonde fenditure. La progressione si rivela piuttosto complicata e non priva di rischi. La salita continua gradevole prima nel bosco e quindi su ampi pendii aperti. Il cielo è oramai coperto ed inizia a nevicare. Proseguiamo ancora ma nevica e nevica sempre più intensamente. Decidiamo di salire ad una forcella a circa 3.900 metri e di tornare al più presto verso il camper. Se la strada dovesse coprirsi di neve, a 3000 metri di quota, sarebbe un bel guaio! Dopo una breve sosta iniziamo la discesa, la visibilità si sta riducendo sempre più e facciamo fatica a trovare l’itinerario di rientro. La memoria e la traccia impressa in salita sul GPS, ci aiutano a rientrare sotto la fitta nevicata al parcheggio. La neve fortunatamente non attecchisce e possiamo scendere la ripida strada che ci riporta a Bishop. Visto il meteo dei giorni seguenti, decisamente non confortante, siamo costretti a concludere qui le nostre avventure.

Sulla “rotta” verso San Francisco, attraversiamo in velocità il Sequoia National Park diretti verso l’imperdibile Yosemite National Park, paradiso, culla e icona mondiale dell’arrampicata moderna. Oltre a seguire con invidia alcune cordate impegnate sulle Big Walls del Capitan, troviamo il tempo di percorrere una parte del John Muir Trail ed ammirare i famosi Dom, le enormi pareti granitiche modellate dal ghiaccio e solcate da grandi cascate. Spettacolari bellezze di questo immenso parco naturale dove è stato coniato il termine stesso di Wilderness. Infine San Francisco ed il lungo volo verso casa. Solo ora ritroviamo il tempo per riflettere, per metabolizzare i momenti appena vissuti che già iniziano a trasformarsi in ricordi. Ci scorrono davanti agli occhi i giorni trascorsi, la grande diversità ambientale californiana, ma soprattutto le belle montagne che abbiamo salito e le innumerevoli altre cime dell’High Sierra che magneticamente hanno attratto il nostro sguardo.

Dario Skerl & Roberto Valenti
Scuola di Sci Alpinismo “Città di Trieste”